Andiamo a votare… e votiamo bene!

Carissimi,

Ho ricevuto questa mail da un’amica che voi tutti conoscete (P.B. sono le sue iniziali da “signorina”) che a sua volta l’ha ricevuta direttamente dall’autrice, un’altra mia amica che credo voi tutti conosciate (S.S. da signorina…).

Spero non me ne voglia per averla pubblicata… ritengo però ne valga davvero la pena dal momento che è la più appassionante ed appassionata analisi che mi sia capitato di leggere/ascoltare sull’oggetto dell’imminente referendum…

vota no!

Il mio voto sarà NO e non sarà un no di appartenenza politica, ma un no determinato dal merito e dai modi di “questa sciagurata riforma” (come la definisce Roberto Bin, ordinario di diritto costituzionale a Padova e vecchia conoscenza dell’Università di Macerata). Sono quindi due, a mio modesto parere, gli ordini di ragioni a favore del NO: il contenuto della riforma e il modo in cui è stata approvata. Sui contenuti potremmo stare a parlare per ore e il tempo di tutti noi è poco e prezioso, ma qualche parola vale la pena di spenderla. Ormai questa riforma è nota come “devolution”, ma il problema sta nel fatto che essa va ben oltre il riparto di competenze tra Stato e Regioni: i nostri riformatori che, nel corso di una serena vacanza in montagna, da dentisti e notai si sono improvvisati costituzionalisti, hanno pensato bene che una volta che si comincia un’opera,essa va portata fino in fondo, a prescindere dalla bontà o meno dell’esito finale. E così si son detti: perchè cambiare solo il titiolo V (appunto la questione Stato-Regioni), cogliamo l’occasione per gonfiare il nostro ego e mettiamo le mani sulla forma di governo, sul bicameralismo, sugli istituti di garanzia del parlamentarismo e, perchè no, anche sulla composizione della Corte Costituzionale. Il male maggiore non è la voglia di cambiamento in sè o il desiderio narcisistico di divenire i nuovi padri costituenti, in fin dei conti si tratta di moti dell’animo condivisibili (la voglia di cambiamento) o quantomeno non umanamente biasimabili (le aspirazioni narcisitiche). Il problema sta nel fatto che le cose vanno fatte da chi le sa fare e, purtoppo per tutti noi, questi signori hanno dimostrato di non saperle fare! Dalla loro insipienza, aggravata da un buon tasso di presunzione e da una totale mancanza di senso dello Stato e delle istituzioni, è uscito fuori uno dei testi costituzionali più brutti che l’Europa abbia conosciuto dal secondo dopoguerra a oggi: senza entrare nello specifico, si tratta di un testo mal scritto (le parole pesano e nel diritto costituzionale sono dei veri e propri macigni, specie se scritte in una costituzione rigida…bisogna conoscerle e saperle scegliere), contraddittorio (gli istituti posti in materia di forma di governo non solo si pongono spesso in contrasto l’uno con l’altro, ma finiscono anche per contraddire le idee che, a detta dei riformatori, hanno ispirato la revisione), pericoloso per la governabilità e la tenuta delle istituzioni (tra contraddizioni, disfunzioni e norme di difficile interpretazione temo che ne verrebbe fuori una vera Babele istituzionale). Veniamo ai modi dell’approvazione: come si sa nel marzo del 2005 la riforma è stata adottata con i soli voti della maggioranza, dire NO, quindi, significa prima di tutto far sentire il proprio dissenso nei confronti di un atteggiamento sempre più diffuso (a destra come a sinistra) che porta a fare della Costituzione e della sua modifica un argomento dei programmi delle forze delle politiche. La Costituzione non è e non deve diventare una donna di male affare da tirare a destra e a sinistra nelle contese elettorali: è quel documento che definisce la nostra comune identità, nel quale tutti dovremmo riconoscerci, come tutti i giocatori di una partita si sentono tutelati e definiti dalle regole del gioco. Ciò rivela che il NO non può essere un voto di militanza politica, ma un voto di “patriottismo costituzionale”, come diceva Habermas. L’ansia di cambiamento negli italiani c’è ed è legittima, ma non è questa la strada per cambiare, parafrasando e ribaltando il Gattopardo, è proprio il caso di dire “affinchè tutto cambi, è necessario che tutto resti com’è”: dire SI non significa aprirsi al cambiamento, ma piegarsi al qualunquismo e al populismo di chi ha scritto “questa sciagurata riforma”…rivendichiamo orgogliosamente la nostra intelligenza e non facciamoci fragare!!! Scusa se ti ho annoiato con tante parole, ma la cosa, come immagini, mi prende nell’animo!

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