La miniera della perdizione

Insaziabili d’energia, assetati d’aria, inghiottiti nella perdita di un centro incapace di infiacchirsi, domenica 3 Maggio ci recammo a meriggiare accanto ad un inaspettato ed attraente San Vicino. Salimmo un po’, ma per cercare sotto, quella miniera di manganese che pochi giorni prima incontrai casualmente spulciando mappe topografiche un po’ spiegazzate, frutto acerbo di improbabili sentieri per famiglie.
Lasciata l’auto, partimmo a piedi.
Accoglientemente pianeggiante, un fazzoletto di campagna annodato ai lati raccoglieva un modesto bosco, con merletti d’erba alta che decoravano i rochi sussulti del ruscello laterale.
Volli solitario nubeggiare nel profondo panismo D’Annunziano. Attraversando poco oltre le stanze urticanti delle serpi, d’impeto tracimai colto dalle folgori dell’esperienza. Mi gettai poi nudo tra le sue braccia, chiusi gli occhi e li donai ai miei polpastrelli ormai ciechi, intonsi dalla foga di questo misterico tragitto.
Poi la voce dei miei amici mi condusse a ritroso, chino a serpeggiare tra le costruzioni appena accennate di quelle infaticabili creature che prendono il nome di formiche e che, forse, raggiunsero per prime quella polla nera che altri animali denudarono.
Giungemmo infine sul posto.
Un foyer di legni irti era il proscenio oltre il quale s’apriva un palco cavo. L’ingresso alla miniera invitava al proseguimento. Fummo suoi discepoli. Dopo circa 8 metri lo scavo ligio e generoso finiva d’un tratto e lasciava il posto ad un pertugio che più in alto s’apriva, di circa un metro e sulla sinistra. Un bolo nero, d’una fluidità cromatica inghiottita era lo sterco che vi colava. Più in alto v’era forse l’esofago e poi la bocca della miniera che, con i denti incollati di foglie umide, si rivolgeva verso il cielo a mendicar pioggia.

All’uscita un geotritone; accanto noi, a collezionare immagini con macchine fotografiche.

Poi un bruco.

Infine disgregati scendemmo.

Di fronte a tale spettacolo si è duramente colti dal senso di colpa dell’operato altrui; si assiste incapaci ed attoniti al completo smarrimento della pietas dell’uomo per la montagna.

Esaurito il getto grasso che rendeva ricchi, presi da ansia e bramosie economiche, immaginai i volti di chi (si) scavò con furia questo strano pertugio, basso, inclinato che digrada all’interno.
Non paghi di tanto scempio, notammo delle trivellazioni di svariati metri perpetrati nelle pareti della coltivazione mineraria principale; mi piace pensare che la montagna, pregna della sua solidissima dignità, si sia presa la sua rivincita e fatto allontanare i violenti da tanta magnificenza.

Il ritorno fu lento, lasciato ad assaporare lo sciabordio dell’orrido sublime dei minuti antecedenti.

CHIOSA

Fuori dalle leggi della mente permetteteci di durare esprimendo la prodigiosa assurdità del tutto.
Riso senza motivo di ridere, su cinghie di trasmissione, in un sobborgo per déi.
Voi non vedete; indovinate.
Indovinate.

Per favore, continuate ad eccitarvi dell’abbandono.

Come da collaudata tradizione, il presente articolo per la gentile collaborazione di FLU. Di Lui ci piace sottolinearne la Chiosa iconoclasta.

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